La scogliera del cuore

La scogliera del cuore è un libro di poesie,  quelle di mio padre, a cui, però, il tempo non è stato concesso per consentirgli di finalizzare il lavoro.  Nel libro sono contenuti i miei ricordi e quelli della mia famiglia ed oltre ad essere un  tributo dovuto, forse,  per me rappresenta  il primo passo  fatto nella direzione della “immortalità del pensiero“.

I miei ricordi

Non ho molti ricordi della vita dei miei genitori, intendo della vita lontana dalle sofferenze e dalle malattie e sebbene siano morti quando ero già un ventenne, nella mia mente molte immagini si sono sbiadite ed i suoni delle loro voci sono quasi scomparse, ma ho forte dentro il ricordo del loro essere uniti, del loro volersi bene, del senso di rispetto che ci hanno lasciato in eredità e che oggi rende speciale il rapporto tra noi fratelli. Mia madre fu per noi figli un faro ed oggi uno spirito guida e per mio padre rappresentò il pilastro della sua vita. Una donna forte e gentile, coraggiosa e sincera, che seppe affrontare le terribili prove della sua lunga sofferenza con dignità e silenzio. Non penso perciò che ci sia modo migliore di conoscere mia madre, se non attraverso gli occhi innamorati di mio padre che spesso dipinse e raccontò di lei.

Mio padre era un uomo silenzioso e d’aspetto severo, ma d’animo nobile; un uomo  segnato da un profondo dolore e da una terribile  malattia, che gli fu compagna per tutto il corso della sua vita. Voglio ricordarlo in mezzo ai suoi colori ed alle  sue carte. Voglio ricordarlo per quello che era, una persona profonda, a volte esigente, severo per ruolo,  ma amico per indole, forse  un eclettico,  a suo modo un genio creativo. Voglio ricordarlo anche nei suoi pensieri più intimi, nel suo lato più solitario,  in compagnia dei suoi fantasmi e con le sue paure più recondite, quelle di un uomo che sapeva della sua breve strada, ma che fece di tutto per arricchirla di emozioni, di pensieri, di colori, di parole e di immagini.

Voglio ricordarlo, seduto in cucina, con la sua solita sigaretta tra le dita, in compagnia di una penna e di un’agenda, quando ogni tanto, da ragazzino, mi chiedeva di sedere accanto al lui per mettere alla prova la sua prosa; mi faceva leggere le sue poesie, probabilmente con la speranza di farmi cogliere la profondità dei suoi pensieri, forse era un modo per parlarmi, un modo diverso di aprire un dialogo o di rafforzare un rapporto tra padre e figlio o di raccontarsi. Quando, però, leggendo dichiaravo di non aver capito molto, sorridente sussurrava: “va bene, allora così va bene”.

A suo tempo non capivo perché dovesse rendere così ermetico un pensiero, ma oggi ritengo che fosse un suo modo per custodire e per proteggere i suoi sentimenti più profondi, ma al contempo, di lasciarli liberi a tutti coloro si fossero sforzati di comprendere il vero significato che si nasconde al di là delle singole parole.

Domenico Soriano

 

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